Le sculture dei templi di Khajuraho: arte erotica nell’India medievale

I templi di Khajuraho si trovano nello stato del Madhya Pradesh, in India centrale. Fatti costruire tra il IX e il XII secolo d.C. dalla dinastia Chandela, i templi sono stati dichiarati Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco nel 1986. Degli 85 templi originari, oggi ne restano solo 25. Essi sono un’importante esempio di architettura medievale indiana, ma la loro notorietà è dovuta alle numerose sculture erotiche che li decorano e che li hanno resi una gettonata meta turistica.

Durante il Medioevo, il clan Chandela ordinò che in un’area di circa 20mila chilometri quadrati fossero costruiti oltre 80 templi dedicati a divinità della religione induista e giainista, dimostrando quindi di accettare pacificamente la convivenza di culti religiosi diversi. Purtroppo, però, questo periodo aureo dell’India centrale finì tragicamente con la barbara invasione del sultanato di Delhi, uno stato islamico che regnò nel nord del subcontinente indiano dal 1206 al 1555. La maggior parte dei templi furono distrutti secondo la legge islamica. Gli invasori, infatti, professavano una politica d’intolleranza per i luoghi di culto delle altre religioni. Gli abitanti di Khajuraho, allora, abbandonarono la città, riuscendo così a distogliere l’attenzione delle truppe nemiche dai luoghi sacri. 25 templi, infatti, riuscirono a salvarsi dalla folle furia distruttrice dello stato islamico. In seguito, però, essi furono dimenticati dall’uomo e sommersi dalla vegetazione della giungla indiana per oltre 500 anni.

I templi induisti e giainisti di Khajuraho furono riscoperti solo nel 1837, dal Capitano ed esploratore inglese T.S Burt. Da allora conquistarono una fama mondiale dovuta soprattutto alle sculture che li adornano esternamente, raffiguranti uomini, donne e animali praticanti attività sessuali. In realtà, solo il 10% delle sculture è a tema erotico (quanto basta per attirare la curiosità dei turisti) mentre la maggior parte di esse rappresenta persone impegnate in attività quotidiane. Queste sculture non sono presenti all’interno degli edifici o vicino alle rappresentazioni delle divinità in quanto la divinità è pura, non affetta da desideri sessuali né da altri bisogni terreni.

Nel corso degli anni, numerosi studiosi hanno fornito diverse interpretazioni a questo tipo di arte erotica (visibile anche in molti altri templi indiani). Alcuni sostengono che queste rappresentazioni siano espressione della tradizione tantrica (seguita probabilmente dal clan Chandela) secondo cui la soddisfazione dei desideri sessuali è un mezzo per raggiungere il nirvana; altri vi vedono una rappresentazione del Kamasutra i cui insegnamenti erano attuali a quei tempi; altri ancora le interpretano come una reazione all’ascetismo buddista dominante nei secoli precedenti, così come c’è chi vede queste sculture come una sorta di manuale prematrimoniale per i giovani che in epoca pre-moghul usavano vivere in eremitaggio prima del matrimonio.

Dal punto di vista indù la sensualità è alla base dell’amore, è fonte di piacere ma anche di risveglio spirituale per la coppia, perché il corpo del partner è come un tempio, degno di adorazione. Secondo i libri tantrici indù, l’amplesso è uno strumento per superare la separatezza fra il principio cosmico femminile e quello maschile e raggiungere così, al culmine del piacere, l’Unità suprema. Un’esperienza di estasi, quindi, che è anche mistica.

A Khajuraho protagonista assoluta è la donna, raffigurata ovunque e in svariati modi, anche al di là della vita sessuale: ci sono sculture di donne che scrivono, danzano, cantano, mettono il kajal sugli occhi e l’henné sui piedi, si specchiano ecc. La donna possiede una sensualità naturale, esibita con grazia e malizia, ma è sempre “soggetto” e mai “oggetto” sessuale. Sebbene discriminata in altri aspetti della vita sociale, nel campo della sessualità e dell’amore la donna indù aveva gli stessi diritti dell’uomo e dunque lo stesso diritto al piacere.

Valeria Auricchio

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