Li Galli, dove dimorano le sirene

Sospeso tra cielo e mare, a pochi chilometri a sud della penisola sorrentina, si trova l’arcipelago de Li Galli, dove il mito incontra l’arte, tra natura selvaggia e raffinata eleganza. Appartenente al comune di Positano e facente parte dell’Area Marina Protetta di Punta Campanella, l’arcipelago è formato da tre isole: Gallo Lungo, La Rotonda e Dei Briganti.

Delle tre isole, Gallo Lungo è la più grande: ha una forma allungata che si estende per circa 400 metri con una larghezza variabile di circa 100 metri verso il centro e di 200 metri circa verso la testa; vista dall’alto, richiama la forma di un delfino. A ovest di Gallo Lungo si trovano La Rotonda e Dei Briganti. Quest’ultima, ubicata a nord de La Rotonda, è più comunemente nota con il nome de La Castelluccia (o, talvolta, Castelluccio). I tre isolotti sono rocciosi e ricoperti di erba e arbusti. Sui Galli è anche possibile trovare le lucertole azzurre, sottospecie della lucertola campestre endemica dei Faraglioni di Capri.

Gallo Lungo
La Rotonda e La Castelluccia

Li Galli sono da sempre legati al mito delle sirene. Omero per primo elesse questi scogli dimora di quelle creature marine che con il loro canto ammaliavano i marinai di passaggio, facendoli naufragare contro gli scogli. Solo due navi riuscirono a scampare questa triste sorte: quella dell’astuto Ulisse di ritorno dalla guerra di Troia e quella degli eroici Argonauti. Ma a descrivere per la prima volta le tre isole fu Strabone, erudito greco del I secolo a.C., in due brani della sua opera Geografia, individuandole come sedi delle sirene e dando loro il nome di Sirenuse.

Per gli antichi le sirene rappresentavano gli ostacoli e i pericoli della navigazione. E non è un caso che i navigatori incontrassero Li Galli dopo aver attraversato il golfo dei Ciclopi e superato le bocche di Capri: un passaggio difficile per la navigazione, soprattutto in presenza di forte vento. Le correnti, infatti, portavano spesso le imbarcazioni a schiantarsi contro queste isole e a naufragare.

Da Li Galli invece, i corsari potevano controllare l’ingresso e l’uscita dalle bocche e ciò spiegherebbe il nome di uno dei tre isolotti: dei Briganti. Il nome Li Galli, invece, pare derivi dal fatto che nell’iconografia greca le sirene fossero rappresentate nella ibrida forma di donne-uccello, da non confondere quindi con le sirene metà donna e metà pesce della fantasia popolare. L’accostamento della sirena alla gallina o al gallo avrebbe dunque portato alla formazione del nome Li Galli, volgarizzazione dell’arcaico Sirenuse.

Sirena di Canosa, IV secolo a.C., Museo archeologico nazionale di Madrid.
Statua funeraria attica di una sirena, 370 a. C., Museo archeologico nazionale di Atene.

In epoca romana sul Gallo Lungo venne eretta, non si sa da chi, una villa di cui sono ancora visibili poche tracce di una cisterna e dell’approdo. L’imperatore Tiberio spesso vi andava con la sua corte, nella speranza di ascoltare il canto delle sirene. Anche sulla Castelluccia vi è un approdo, scavato nella roccia, le cui caratteristiche fanno pensare a un insediamento risalente a un periodo storico forse precedente quello dei Romani. La presenza dell’approdo, di una scala e delle rovine provano che anche su quest’isola vi fosse, forse, una villa o un tempio.

Con la decadenza del dominio romano, Li Galli vennero abbandonate a causa del pericoloso infestamento dei mari da parte dei saraceni, divenendo così luogo per anacoreti, che sul Gallo Lungo eressero un’edicola dedicata a San Pietro. In seguito, per proteggere la costa, ormai assiduamente frequentata dai pirati, gli amalfitani vi edificarono una fortezza (che nei decenni seguenti funse anche da prigione). Nel 1225, l’imperatore Federico II di Svevia donò le tre isolette al Monastero benedettino di S. Maria di Positano denominandole «tres Sirenas quae dicitur Gallus».

Per secoli, dal periodo angioino fino alla seconda metà dell’Ottocento, Li Galli furono relegati al ruolo di fortezza. Cessarono di essere tali con l’Unità d’Italia, quando, non più indispensabili alla difesa costiera, vennero posti in vendita e ceduti a privati. Qualcuno allora provò a costruirvi una fattoria per l’allevamento dei conigli ma nel 1873 una terribile tempesta colpì l’arcipelago e affogò tutti i conigli. A cavallo tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, Li Galli rimasero selvaggi e poco visitati, frequentati solo dai cacciatori della costa per le battute di caccia alla quaglia effettuate nel mese di maggio.

Negli anni Venti del Novecento, Li Galli furono acquistati da Leonid Fëdorovič Mjasin, danzatore e coreografo russo naturalizzato statunitense, celebre in tutto il mondo con il nome francesizzato di Léonide Massine. Il ballerino giunse per la prima volta in Italia nel 1917 insieme con Pablo Picasso, Jean Cocteau e la compagnia dei Balletti Russi di Sergej Djagilev per una serie di spettacoli al teatro San Carlo di Napoli. Dopo la tournée, Massine si concesse una breve vacanza a Positano, ospite presso il Mulino d’Arienzo, antica struttura romana adattata a dimora estiva dallo scrittore suo amico e connazionale Michail Nikolaevič Semënov e da sua moglie Valeria Teja. L’incontro con Li Galli fu per Massine un vero e proprio colpo di fulmine, come egli stesso racconta nella sua autobiografia La mia vita nel balletto:

I Semenoff vivevano sulla cime del villaggio, in un grazioso mulino antico adattato. Durante la prima notte che trascorsi lì, guardando fuori dalla finestra, notai una deserta isola rocciosa a molte miglia fuori costa. Quando, il mattino seguente, chiesi notizie di essa a Michail Nikolaevič [Semënov], egli mi disse che era la più grande delle tre isole de Li Galli, essendo le due più piccole nascoste alla vista. Esse appartenevano alla famiglia locale dei Parlato, che vi si recavano solo per la caccia di quaglie in primavera. In giornata prendemmo una barca per l’isola che avevo visto e scoprii che era formata da aspre rocce grigie prive di vegetazione, ad eccezione dei pochi cespugli arsi dal sole. Fui sopraffatto dalla bellezza della vista sul mare, col Golfo di Salerno che si estendeva in lontananza. Con Paestum a sud e i tre faraglioni di Capri all’estremità settentrionale del Golfo, essa possedeva tutta la potenza drammatica di un dipinto di Salvator Rosa. Il silenzio era infranto solo dal mormorio del mare e da qualche grido di gabbiano. Sapevo che in quel luogo avrei trovato la solitudine che cercavo, un rifugio dalle pressioni estenuanti della carriera che avevo intrapreso. Decisi dunque, proprio lì e in quel momento, che un giorno avrei acquistato l’isola e ne avrei fatto la mia casa.

Léonide Massine a Li Galli (foto Giulio Rispoli).

Le sirene avevano attratto e sedotto Massine che pregò Semënov di avviare con la famiglia Parlato, proprietaria dell’isola, delle trattative. L’impresa si rivelò lunga e complessa a causa dei numerosi eredi della famiglia Parlato, che non riuscivano ad accordarsi sul prezzo di vendita.  Solo nel 1924 Massine riuscì ad accaparrarsi l’arcipelago al costo di 300 mila lire dell’epoca, soffiandolo all’architetto, scrittore e intellettuale svizzero Gilbert Clavel, che già da qualche anno guardava con desiderio Li Galli mentre era intento a ristrutturare la sua torre a Positano. L’acquisto valse a Massine la fama di pazzo acquirente di una terra rocciosa adatta solo all’allevamento dei conigli. Storica è la scena della signora Antonietta Parlato che corre per l’arenile di Positano urlando in dialetto locale: «aggio trovato ‘o pazzo chi s’è accattato ‘o scoglio!» («Ho trovato il pazzo che ha comprato lo scoglio!»)

Léonide Massine e Michail Nikolaevič Semënov a Li Galli (foto Giulio Rispoli).

Quando Massine entrò in possesso de Li Galli, sul Gallo Lungo vi erano le rovine della torre di guardia, i ruderi dell’antica villa romana, della cisterna, dell’approdo e una casetta, rifugio di pescatori. Sulla Castelluccia vi erano, invece, le rovine delle fortificazioni medievali e i ruderi di epoche precedenti, mentre sulla Rotonda non vi era nulla di significativo.

Massine fu felice del suo acquisto nonostante col tempo si ritrovò a fare i conti con la furia inclemente del mare e del vento, come quando nel 1964 un fortunale distrusse l’anfiteatro che l’artista volle sul modello di quello di Siracusa. Tuttavia, Massine riuscì a terrazzare una parte dell’isola adibendola a vigneto (oggi sostituito da un orto) e fece edificare una villa – Villa Grande, poi Villa Massine –  che fu ristrutturata nel 1937 dal celebre architetto Le Corbusier. Fece, inoltre, costruire un belvedere con vista su Capri, con al centro una fontana mosaicata, e delle terrazze affacciate sulla Costiera Amalfitana.

Nonostante le difficoltà, quel luogo così aspro fu per Massine non solo un buen retiro ma anche una fonte di ispirazione per la creazione delle sue coreografie a cui lavorava durante i lunghi mesi che trascorreva sull’isola insieme al padre. L’artista iniziò poi a coltivare un ulteriore sogno: trasformare Li Galli in un centro artistico che riunisse varie discipline, dalla danza alla musica alla pittura. Ancora una volta è lui stesso a parlarcene, con poetica passione, nelle sue memorie:  

Mi ritrovai a pensare a Li Galli, alla prima volta che la vidi nel 1917, alla mia decisione di acquistarla. Mi sembrava che fosse sempre stata più che un semplice rifugio; essa rappresentava qualcosa nella mia vita che dovevo ancora scoprire […] Per molti aspetti, Li Galli è stata una delle cose più importanti della mia vita. È lì che ho concepito la coreografia di alcune delle mie produzioni più ambiziose. È lì che ho eseguito molte ricerche per il mio manuale. Quando la acquistai, la consideravo solo un rifugio dalle tensioni della mia carriera. Ma ora comprendo che essa è stata una fonte di ispirazione e mi ha portato più vicino ad una vita di semplicità, offrendomi un genere di serenità e di pace spirituale che non ho mai trovato in nessun altro posto. Perciò mi piacerebbe vedere l’isola svilupparsi come un luogo dove giovani artisti da tutto il mondo potessero venire, per ritirarsi dal soffocante materialismo della vita moderna e trarre ispirazione, come me, dalla sua naturale bellezza e dalla sua magnifica cornice paesaggistica.

Massine a Li Galli insieme a due danzatrici.

Purtroppo Massine non riuscì a realizzare questo sogno. Dopo la sua morte, avvenuta nel marzo del 1979, il figlio Lorca, non potendo più sostenere le spese, vendette Li Galli a un altro celeberrimo ballerino russo: Rudolf Nureyev. Il Tartaro Volante aveva scoperto le isolette in occasione di un viaggio a Positano per ritirare il premio “Léonide Massine per l’arte della danza”. Anche lui non riuscì a resistere al richiamo delle sirene.

Rudolf Nureyev

Acquistati per 3 miliardi e 43 milioni di lire, a Li Galli, ogni anno, Nureyev trascorreva l’intero mese di agosto, isolandosi dal mondo. Si dice che in uno degli edifici dell’isola avesse fatto predisporre una stanza con le finestre oscurate, dove poteva non sentirsi, come sempre era, sotto i riflettori.

Rudolf Nureyev a Li Galli.

Diversamente da Massine però, che era alquanto schivo, Nureyev frequentava Positano partecipando alla vita mondana del paese, dividendosi tra le ville degli amici e il ristorante La Buca di Bacco. Tornato sull’isola, si rifugiava nella villa che aveva rimodernato arredandola secondo il suo opulento gusto orientale, in un tripudio di azulejos e tappeti kilim. Trasformò la torre saracena in una sala da ballo con pavimento in parquet di pino rosso, ricoperta di specchi e circondata da sbarre per gli esercizi quotidiani.

Nureyev posa nella sua villa a Li Galli.

Nureyev salutò per l’ultima volta Li Galli il 3 settembre 1992, sicuro che non li avrebbe più rivisti. Colpito dall’Aids, morirà nel gennaio dell’anno seguente, a soli 54 anni. Prima di salire a bordo della barca che lo avrebbe riportato sulla costa, baciò più volte quegli scogli che lo avevano accolto e cullato negli ultimi anni della sua esistenza. Nureyev quell’estate vi giunse a Ferragosto, talmente indebolito dalla malattia che – ricorda Pietro, il custode dell’isola – nonostante il clima caldo, era costretto a indossare un pesante cappotto.

Con la dipartita di Nureyev svanì anche il sogno che era stato di Massine di rendere quell’isola un tempio consacrato all’Arte. Con le due stelle della danza mondiale si concludeva un’epoca d’oro in cui Li Galli e l’intera Costiera Amalfitana erano luoghi prediletti di incontro, riposo e contemplazione per artisti e intellettuali geniali e sofisticati.

Rudolf Nureyev nella sua villa a Li Galli.

Attualmente il proprietario di Li Galli è l’albergatore sorrentino Giovanni Russo che insieme a un socio le acquistò nel 1994, quando, dopo la morte di Nureyev, furono messe all’asta per circa 5 miliardi di vecchie lire. Russo, in seguito, rilevò la quota del socio, ma dovette affrontare un lungo contenzioso giudiziario perché la vendita non aveva rispettato un eventuale diritto di prelazione a favore degli enti pubblici territoriali in quanto bene vincolato. Egli oggi fitta Li Galli per soggiorni e feste a quanti hanno la fortuna di poterselo permettere, ma pare sia pronto a vendere.

La scelta di un prossimo eventuale acquirente spetta alle sirene, uniche e vere padrone dell’arcipelago. Saranno loro a decidere se e quando ammaliare un nuovo viandante, facendogli naufragare il cuore contro quegli scogli. E speriamo che quel cuore sia abbastanza sensibile e ambizioso da realizzare il grande sogno di Massine.

Valeria Auricchio

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