«Ricorditi di me, che son la Pia»

Una delle figure femminili più celebri della Commedia di Dante Alighieri s’incontra al termine del quinto canto del Purgatorio, dove stanno i morti di morte violenta e peccatori fino al termine della loro esistenza, che ebbero modo di pentirsi e di perdonare il proprio uccisore nell’ultimo istante di vita:

Noi fummo tutti già per forza morti
e peccatori infino a l’ultima ora;
quivi lume del ciel ne fece accorti,
sì che, pentendo e perdonando, fora
di vita uscimmo a Dio pacificati. 

(Purgatorio, canto V, vv. 52-56).

Il Sommo Poeta dedica al sopracitato personaggio femminile pochi versi, due terzine e una chiusa. Quanto basta per renderla immortale:

“Deh, quando tu sarai tornato al mondo,
e riposato de la lunga via”,
seguitò ‘l terzo spirito al secondo,
“ricorditi di me, che son la Pia;
Siena mi fé, disfecemi Maremma:
salsi colui che ‘nnanellata pria
disposando m’avea con la sua gemma”.

(Purgatorio, canto V, vv. 130-136).

La penitente, che dice di chiamarsi Pia, temendo forse che nessuno della sua famiglia preghi per la sua anima, supplica dolcemente Dante di ricordarsi di lei quando sarà tornato tra i vivi e si sarà riposato dalle fatiche del suo lungo peregrinare ultraterreno. Quel «ricordati di me» è uno dei versi più struggenti e famosi dell’intero poema. Gli rivela, infine, di essere nata a Siena e di essere morta in Maremma: come ben sa, sottolinea, l’uomo che l’aveva sposata cingendole il dito con l’anello nunziale. Molti chiosatori leggono in quest’ultimo verso una chiara allusione al marito quale responsabile della sua dipartita. Se così fosse, sarebbe inevitabile fare un confronto con la protagonista del quinto canto dell’Inferno dantesco, Francesca da Polenta: entrambe sono vittime della violenza dei mariti, diversa è però la pena cui vengono sottoposte; Pia, pentitasi in punto di morte per le proprie colpe, è destinata alla salvezza, Francesca invece, non pentitasi e ancora presa dal «piacer sì forte» per il cognato Paolo Malatesta, è condannata alla dannazione eterna. 

L’incontro di Dante e Virgilio con la Pia in un’illustrazione di Gustave Doré, 1861-68.

Ma di quali colpe si è macchiata la Pia e, soprattutto, chi è stata in vita? La storiografia è tutt’oggi incerta riguardo l’identificazione di questo personaggio che continua ad aleggiare tra realtà e leggenda, circondato da un velo di mistero. Le ipotesi (e le relative smentite) si susseguono.

PIA DE’ TOLOMEI
I primi commentatori della Commedia – tra cui Benvenuto Rambaldi da Imola, Jacopo della Lana, l’Ottimo e Francesco da Buti – concordano nell’identificare la Pia dantesca con una discendente dei Tolomei (antica e illustre famiglia senese), divenuta moglie di Paganello detto Nello de’ Pannocchieschi, signore del Castel di Pietra in Maremma, podestà di notevoli città e capitano della Taglia guelfa. Secondo questi antichi commentatori, Nello avrebbe ucciso Pia avvelenandola o gettandola da una rupe detta “salto della contessa” del suo castello in Maremma o imprigionandola nella rocca di Pietra, dove poi sarebbe morta ammalandosi di malaria. Il motivo? Perché la riteneva adultera o, più probabilmente, per poter sposare la sua amante Margherita Aldobrandeschi, contessa di Sovana e Pitigliano e fresca vedova del guelfo Guido di Montfort. Matrimonio, quindi, d’amore ma anche d’interesse in quanto avrebbero portato Nello ad ampliare il suo potere e i suoi possedimenti.

I resti del Castel di Pietra in uno scatto di Lorenzo Biagini.

Che Nello fosse vedovo e avesse sposato in seconde nozze Margherita (dalla quale ebbe anche un figlio, Binduccio o Bindoccio, che morì giovinetto per mano dei sicari della famiglia Orsini che lo buttarono in un pozzo a Massa Marittima) è certo e documentato. Altrettanto certo è che Nello avesse un forte e pacifico legame con la città di Siena, come si legge nel suo complesso testamento fatto a Gavorrano nel 1322. Non esiste, invece, alcuna attestazione del suo precedente matrimonio, pertanto non ci è dato sapere chi sia stata la prima moglie. Inoltre, numerose e approfondite ricerche non hanno individuato alcuna donna di nome Pia appartenente al casato Tolomei negli anni in cui visse Nello.

Pietro Montebugnoli, Pia de’ Tolomei, 1859, Fondazione Gualandi, Bologna.

PIA DE’ GUASTELLONI
Un chiarimento nella vicenda sembra arrivare verso la fine del XVII secolo, quando il letterato senese Girolamo Gigli rivela che Pia non è nata Tolomei ma Guastelloni (altra famiglia del ceto dominante di Siena): figlia di Buonconte, vedova di Baldo Tolomei (dal quale avrà due figli) e probabilmente sposa, in seconde nozze, di Nello Pannocchieschi. La tesi del Gigli viene però confutata dallo storico Alessandro Lisini che nel 1893 pubblica dei documenti con cui dimostra che Pia Guastelloni, vedova di Baldo Tolomei, fosse ancora viva e in stato vedovile nel 1318, ovvero quando il Purgatorio era già stato scritto. Pertanto Pia Guastelloni in Tolomei non può in alcun modo essere la Pia citata da Dante nella Commedia e men che meno può aver avuto a che fare col Pannocchieschi.

Targa situata sul muro esterno di palazzo Tolomei a Siena.

PIA DE’ MALAVOLTI
Recenti e più convincenti studi si propongono di dimostrare che il personaggio storico cui Dante si riferisce è Pia di Ranuccio di Filippo Malavolti (antichissima e potente famiglia senese nemica dei Piccolomini) che tra il 1282 e il 1283 sposa per procura Bertoldo detto Tollo degli Alberti, signore di Prata in Maremma e vassallo degli Aldobrandeschi. Secondo tale tesi, il procuratore delle nozze è stato Nello de’ Pannocchieschi (ancora lui, sempre e comunque!) Alla base di questo matrimonio combinato c’è l’intento di risolvere i contrasti tra la città di Siena e i territori della Maremma. In questi anni, infatti, sono numerosi gli scontri tra una Siena ormai guelfa e un territorio maremmano ancora ghibellino (tanto che gli statuti senesi vietano addirittura gli sposalizi tra maremmani e senesi).

È assai probabile che il legame stretto con Siena, suggellato dalle nozze con Pia, non sia visto di buon occhio da tutta la famiglia: nel 1285, infatti, Tollo viene assassinato dai suoi tre nipoti all’uscita dalla messa sul sagrato della chiesa. Secondo la legge, alla morte del marito, Pia de’ Malavolti sarebbe dovuta andare in sposa a Nello quale garante delle nozze. Ciò avrebbe delle conseguenze anche sul testo dantesco, dando maggiore significato al verso: «‘nnanellata pria / disposando m’avea con la sua gemma» (sposata due volte, prima per procura e poi in seconde nozze). Restano però irrisolti alcuni interrogativi: come, perché e per mano di chi è morta Pia e che ruolo ha avuto, semmai l’ha avuto, Nello nella triste vicenda?

Arturo Viligiardi, La Pia de’ Tolomei, 1891-92, Palazzo Sansedoni, Siena.

LA PIA DANTESCA
L’Alighieri, dal canto suo, non ci è di grande aiuto nell’identificazione della donna in quanto di lei ci dice poco e niente. L’unica certezza che abbiamo è che la Pia è vera, è realmente esistita, perché Dante non inventa mai né personaggi né fatti storici. Lo stesso Poeta dev’essere rimasto colpito dalla misteriosa sorte della donna di cui forse venne a conoscenza durante una delle sue numerose visite a Siena. E se ci fornisce così pochi particolari, non reputando necessario specificare alcunché, sarà perché l’accaduto era ben noto al mondo coevo (a cui Dante intende rivolgersi con la Commedia). Ragion per cui pone l’articolo determinativo “la” davanti al nome di Pia («ricorditi di me che son la Pia»): questa è una forma espressiva tipicamente toscana, usata quando si vuol indicare qualcuno ben noto ai più.

Raffaele Giannetti, Pia de’ Tolomei, 1870, Russell-Cotes Art Gallery e Museum, Bournemouth.

PIA NELLE ARTI E NELLA CULTURA
La tradizione identifica la protagonista femminile del quinto canto del Purgatorio dantesco con Pia de’ Tolomei e, nonostante questa ipotesi sia ormai superata in quanto, come abbiamo visto, è stata ampiamente confutata dagli studi, tale è rimasta nell’immaginario collettivo.
Il mito di Pia conosce particolare fortuna nel romantico Ottocento e da allora ha esercitato una notevole influenza nelle arti e nella cultura.

Germana Paolieri interpreta Pia nel film Pia de’ Tolomei diretto da Esodo Pratelli (1941).

Numerosi libri, tra cui monografie e romanzi, hanno per oggetto Pia e la sua storia. Storia che ha ispirato anche il cinema che fino ad ora ne ha tratto tre film e un cortometraggio muto. E non ha lasciato indifferente neppure il mondo della musica: basti pensare all’opera lirica Pia de’ Tolomei di Gaetano Donizetti del 1837 o, in anni recenti (2010), all’opera rock La Pia de’ Tolomei firmata dalla cantante – senese come l’eroina dantesca – Gianna Nannini (il musical, tra l’altro, è stato preceduto, nel 2007, da un concept album intitolato Pia come la canto io nato dalla collaborazione della Nannini con la scrittrice Pia Pera).

Cover dell’album Pia come la canto io della cantautrice senese Gianna Nannini (2007).

L’opera di Donizetti, su libretto di Salvatore Cammarano, è tratta dal poemetto di Bartolomeo Sestini La Pia dei Tolomei: leggenda romantica del 1822. Nel racconto di Sestini, un tale Ghino è innamorato di Pia, moglie di suo cugino Nello. L’amata lo rifiuta e Ghino, per vendicarsi, accusa ingiustamente di adulterio la donna. Nello, in preda alla gelosia e sordo alle proteste di innocenza della consorte, la rinchiude nel suo castello in Maremma. Scoperto l’inganno di Ghino, Nello si precipita dalla moglie, ma troppo tardi: Pia è morta, provata dal dolore.

L’opera debutta al teatro Apollo di Venezia il 18 febbraio 1837 e quando giunge al teatro San Carlo di Napoli diviene oggetto di un bizzarro aneddoto. L’impresario del Massimo napoletano Domenico Barbaja chiede a Donizetti di cambiare il finale: Pia non dove morire. Barbaja sostiene che il pubblico partenopeo deve uscire gioioso dal teatro e non rattristato dalle drammatiche vicende messe in scena. Donizetti protesta, citando Dante, ma il potere di Barbaja ha la meglio. Pertanto, il compositore bergamasco e il librettista napoletano Cammarano sono costretti a cambiare il finale dell’opera: Pia anziché morire si riconcilia col marito.

Frontespizio del libretto dell’opera di Donizetti (1837).

Anche l’arte subisce il misterioso fascino della Pia, tributandole dipinti e sculture. Molti artisti si sono ispirati al già citato poemetto di Bartolomeo Sestini, immortalando diversi momenti del racconto. È il caso di Pio Fedi e di Alfonso Balzico che nelle loro sculture rappresentano Nello tormentato dalla gelosia, insensibile alle parole e ai gesti della moglie che cerca di convincerlo della sua innocenza. Lo stesso soggetto lo ritroviamo in una pittura di Carlo Arienti.

Pio Fedi, Pia de’ Tolomei e Nello della Pietra, 1861, Palazzo Pitti, Firenze.
Alfonso Balzico, Nello della Pietra e Pia de’ Tolomei, 1885 ca., Galleria nazionale d’arte moderna, Roma.
Carlo Arienti, Pia deTolomei, 1843-54, Galleria d’arte moderna, Torino.

Pompeo Molmenti e il macchiaiolo Vincenzo Cabianca, invece, nei loro dipinti raffigurano Pia condotta in Maremma, mentre Enrico Pollastrini imprime sulla tela la disperazione di Nello difronte al corpo della defunta consorte disteso nella nuda terra.

Pompeo Molmenti, Pia de’ Tolomei condotta in Maremma, 1853, Galleria d’arte moderna Achille Forti, Verona.
Vincenzo Cabianca, Pia de’ Tolomei condotta al castello di Maremma, 1860 ca., Palazzo Pitti, Firenze.
Enrico Pollastrini, Nello alla tomba di Pia de’ Tolomei, 1851, Palazzo Pitti, Firenze.

Altri pittori – come Eliseo Sala, Stefano Ussi, Lorenzo Rizzi, Raffaele Giannetti, Pietro Montebugnoli – hanno preferito soffermarsi sul ritratto di Pia, raffigurandola nella prigione di Castel di Pietra con espressione assorta, malinconica e rassegnata.

Eliseo Sala, Pia de’ Tolomei, 1846, Musei civici di arte e storia, Brescia.
Stefano Ussi, La Pia de’ Tolomei, 1867 ca.

Infine, il ritratto più celebre di Pia porta la firma di Dante Gabriel Rossetti, pittore inglese di origini italiane, fondatore della Confraternita dei Preraffaelliti, e grande estimatore di Dante Alighieri. La Pia di Rossetti ha il volto di Jane Burden Morris, una delle muse e amanti del pittore britannico. Il dipinto mostra la donna circondata da elementi simbolici: la meridiana in alto a sinistra indica lo scorrere inesorabile del tempo, i corvi che attraversano il cielo annunciano la morte imminente, il rosario poggiato su quello che è probabilmente un libro di preghiere (in basso, in primo piano, accanto ad alcuni fogli sparsi, forse lettere del marito) accenna alla promessa di salvezza eterna, mentre il fico e l’edera che incorniciano la figura di Pia simboleggiano la fedeltà coniugale, sottolineando così l’ingiustizia e la crudeltà della condanna subita dalla donna. Le mani intrecciate della Pia rossettiana dirigono l’attenzione dello spettatore sull’anello che porta al dito: «‘nnanellata pria / disposando m’avea con la sua gemma».

Dante Gabriel Rossetti, Pia de’ Tolomei, 1868-80, Spencer Museum of Art (università del Kansas), Lawrence.

Pia, infine, sopravvive nelle leggende e nei canti popolari diffusi soprattutto in Toscana: si veda, per esempio, il poemetto di Giuseppe Moroni detto il Niccheri, oppure si pensi al ponte – ribattezzato proprio Ponte della Pia – che sorge lungo la strada statale 73 Senese Aretina, poco dopo la frazione di Rosia, nel cuore della Val di Merse. La struttura, ad arcata unica, è stata eretta in epoca romana e ricostruita intorno ai primi anni del XIII secolo: la tradizione vuole che da qui sia passata Pia per andare incontro alla morte in Maremma. E come in ogni leggenda che si rispetti, c’è chi giura di aver visto, nelle notti di luna piena, il fantasma della nobildonna, completamente vestita di bianco, attraversare il ponte senza toccare terra.

Ponte della Pia.

Vittima di uomini vigliacchi e brutali, figlia di un Medioevo per certi aspetti oscuro, Pia è un personaggio quanto mai attuale in una società marchiata dalla piaga del femminicidio. Se Dante Alighieri non l’avesse citata nel suo capolavoro letterario, la donna sarebbe stata dimenticata dalla storia e ignorata dai posteri. Il Divin Poeta l’ha salvata dal precipizio dell’oblio. La Pia sarà ricordata nei secoli.

Valeria Auricchio

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