Lina Cavalieri. La donna, la diva, la musa

I capelli corvini, la pelle d’avorio, le labbra rilevate, il naso all’insù, gli occhi profondi, la figura sinuosa fanno di Lina Cavalieri – canzonettista, soprano e attrice, mito della Belle Époque – una donna «talmente perfetta da far arrestare le persone per strada». È il 1936 e Lina ha da poco superato i sessant’anni quando viene pubblicato a Roma il suo libro autobiografico Le mie verità, curato da Paolo d’Arvanni, pseudonimo dell’avvocato Arnaldo Pavoni, suo impresario e ultimo compagno di vita. Lina dedica il libro al poeta Trilussa «grande amico e grande romano» e attraverso di esso racconta la sua vita da favola, o meglio, da melodramma.

Nasce il giorno di Natale del 1875, a Roma, nel Rione Trastevere, in via del Mattonato 17, e perciò battezzata col nome di Natalina. È figlia di Florindo – assistente architetto di origini marchigiane – e di Teonilla Peconi, originaria di Onano, in provincia di Viterbo. Ha due fratelli, Nino e Oreste, e una sorella, Giulia. La famiglia non se la passa bene economicamente: il padre ha perso il lavoro dopo aver difeso sua moglie dalle molestie del suo principale. Natalina, dunque, inizia a lavorare prestissimo, a soli tredici anni: prima come sarta apprendista, poi come venditrice ambulante di violette e, infine, come impiegata in una tipografia dove impagina copie del giornale «La Tribuna».

A Natalina piace cantare, lo fa anche durante le ore di lavoro, ha una voce notevole e ciò spinge la madre a farle prendere lezioni di canto dal maestro di musica Arrigo Molfetta, loro vicino di casa, il quale accetta di insegnare gratuitamente alla ragazza qualche canzonetta utile per diventare una sciantosa. Il maestro ne approfitta per sedurre Natalina che, giovanissima, resta incinta del suo unico figlio, Alessandro. Anni dopo la Cavalieri restituisce al Molfetta tutto il denaro “prestato” per gli alimenti, affinché l’uomo non abbia più alcuna ingerenza nell’educazione di quello che reputa figlio solamente suo.

Un teatrino di piazza Navona è il luogo d’esordio di Natalina che comincia a esibirsi per una lira al giorno, indossando ogni sera un semplice abitino di tessuto a fiori celeste comprato a Campo dei Fiori e cucito dalla madre. Il suo primo repertorio è costituito di tre canzoni: Core innamorato, Chiara stella e Il cavallo del colonnello (una di quelle composizioni a doppio senso allora di moda). Nel memoriale Le mie verità Lina ricorda di come sua madre l’accompagnasse ogni giorno a piedi dalla loro umile casa in via Napoleone III alla fumosa sala di Piazza Navona. «Eravamo tanto povere da non poterci permettere il lusso di un tram».

Poco dopo il debutto, la popolarità di Natalina aumenta rapidamente, complici anche la bellezza, la sensualità e il temperamento focoso che la contraddistinguono. Viene scritturata in locali sempre più importanti e, nel frattempo, nuove canzoni vanno ad arricchire il suo repertorio. Il successo è segnato anche dall’elezione a reginetta di Trastevere, avvenuta una sera di Carnevale al teatro Costanzi. In breve tempo Natalina diventa una delle figure più note della Roma umbertina ed è pronta per approdare nel regno italiano dei café-chantant: il Salone Margherita di Napoli, il traguardo più prestigioso per una canzonettista del tempo.

È il 1895 e l’impresario del Salone Margherita la presenta al pubblico per la prima volta con il nome abbreviato di Lina – con il quale sarà poi conosciuta in tutto il mondo – al posto del dichiarato Natalina. A Napoli si esibisce interpretando le più celebri canzoni partenopee, compresa l’inedita Ninuccia, composta per lei dal poeta e musicista Giambattista De Curtis su testo di Vincenzo Valente e di cui è la prima interprete. Aggraziata e sensuale, quando entra in scena cantando ‘O sole mio, accompagnata da un gruppo di mandoliniste vestite da pescatore, fa impazzire il pubblico maschile.

Napoli per Lina fa da trampolino di lancio per la sua affermazione in Europa: appena ventenne sbarca a Parigi, alle Folies Bergère, con il suo repertorio di canzoni napoletane, accompagnata da un’orchestra tutta al femminile. Sempre a Parigi, stupisce i suoi ammiratori correndo per il Bois de Boulogne su un velocipede color rosso fuoco, con polpacci e caviglie in bellavista. La passione di Lina per le due ruote la conduce, nella primavera del 1892, a Milano, per una gara ciclistica nella quale sfida la fioraia Adelina Vigo e, negli anni successivi, la porta a correre e a vincere la corsa a tappe Roma-Torino e a sfidare la campionessa belga Hélene Dutrierux.

L’intraprendenza di Lina affascina la Belle Époque tanto quanto la sua bellezza. Cominciano a circolare in tutto il mondo cartoline postali che riproducono il suo volto delicato e il suo corpo perfetto fasciato in abiti elegantissimi e ricoperto di gioielli favolosi. Compaiono leggende che la vedono protagonista di un duello femminile tra lei e un’attrice di teatro, dove Lina, a braccia nude e stivaletti, combatte con onore, dimostrando di saper usare la spada, tanto da ferire, in modo non grave, l’avversaria.

Sul finire del secolo, la Cavalieri dà l’addio al varietà per realizzare il suo sogno più grande: diventare una cantante lirica. «Il teatro lirico metteva in me la febbre del desiderio». Studia duramente prendendo lezioni da un’affermata cantante del Teatro alla Scala, Maddalena Mariani Masi, e facendosi aiutare dal tenore Francesco Marconi a perfezionare il canto. Lina debutta da soprano nel 1900 a Lisbona nell’opera Pagliacci di Ruggero Leoncavallo. Il risultato è un autentico fiasco che la Cavalieri, nel suo memoriale, attribuisce al nervosismo dovuto alla presenza della famiglia reale portoghese e alle avances indesiderate del manager Petrini, ossessionato da lei. Ci riprova nel marzo di quello stesso anno al Teatro San Carlo di Napoli dove interpreta il ruolo di Mimì nella Bohème di Giacomo Puccini: «Vestii l’abito di Mimì e cantai. Non potevo non vincere. Stravinsi. Sentii Napoli. Napoli mi comprese».

Dopo il trionfo partenopeo si aprono per Lina le porte dei più celebri teatri che la vedono al fianco dei più famosi nomi della lirica: Londra, Roma, Parigi fino a New York dove una sera, al termine della Fedora di Umberto Giordano, in scena al Metropolitan, durante la stagione 1906-07, Lina e il grande Enrico Caruso, nell’intensità dell’interpretazione, si scambiano un lungo e appassionato bacio di fronte a un pubblico attonito. Quest’episodio memorabile vale a Lina l’appellativo di “the kissing primadonna” e la definitiva consacrazione.

Lina Cavalieri ed Enrico Caruso

Il successo della Cavalieri deriva più che dalla voce – limpida e fresca ma debole – dalla raffinata bellezza, dalla presenza scenica e dalla buona recitazione. Una diva avvolta in una nuvola di mistero e leggenda che lei stessa alimenta per aumentare la propria fama. Diventa il simbolo della donna più elegante e affascinante d’Europa, è definita la più bella del mondo e rappresenta un sogno per gli uomini e un mito per le donne dell’epoca.

Riceve ottocentoquaranta proposte di matrimonio e le attribuiscono numerosi flirt. La desiderano e la corteggiano aristocratici, politici, artisti, uomini facoltosi e potenti che per lei fanno follie. Convola a nozze cinque volte: con il principe russo Alexander Vladimirovich Baryatinsky, con il ricchissimo americano Robert E. Chanler, con il tenore francese Lucien Muratore, con l’imprenditore italiano Giovanni Campari (membro della famiglia fondatrice dell’omonima azienda di bevande alcoliche) e, infine, con il suo impresario Arnaldo Pavoni, alias Paolo D’Arvanni.

Lina Cavalieri con il marito Lucien Muratore

Gabriele D’Annunzio la definisce «massima testimonianza di Venere in terra» e dedicandole una copia del suo romanzo Il piacere, scrive «A Lina Cavalieri, che ha saputo comporre con arte una insolita armonia tra la bellezza del suo corpo e la passione del suo canto. Un poeta riconoscente. Firmato Gabriele D’Annunzio». L’amico Trilussa scrive di lei: «Fior d’orchidea, / il bacio dato sulla bocca tua / lo paragono al bacio d’una dea».

Pittori del calibro di Giovanni Boldini, Cesare Tallone, Vittorio Matteo Corcos le rendono omaggio imprimendo sulla tela «la rara perfezione del suo corpo, massima nelle braccia che erano rimaste esemplari con gli anni». Il designer Piero Fornasetti – artista eclettico, tra i più creativi e originali del Novecento – che non ha mai avuto l’occasione di incontrarla se non sulle pagine di una rivista francese di fine Ottocento, ne rimane talmente folgorato da eleggerla a musa, facendone l’icona della sua opera. Nel 1952 usa per la prima volta il volto di Lina stampandolo su un piatto. Da allora gioca continuamente a trasformarlo, fino ad arrivare, in soli quattordici anni, a oltre trecentocinquanta versioni.

Piero Fornasetti

Fornasetti racconta: «Il volto di Lina Cavalieri è un vero e proprio archetipo: la quintessenza di un’immagine di bellezza classica, come una statua greca, enigmatica come la Gioconda. Cosa mi ispira a fare più di cinquecento variazioni sul viso di una donna? Non lo so. Ho cominciato a farle, e non mi sono mai fermato.» Ad oggi il volto di Lina rivisitato da Fornasetti nelle espressioni più disparate – languide, ammiccanti, buffe, irriverenti – spicca su costosi complementi d’arredo presenti negli appartamenti più sofisticati del mondo.

Piero Fornasetti, Tema e Variazioni. A quest’opera Alberto Moravia dedica un testo, mentre Henry Miller la sceglie come copertina per la sua autobiografia My life and times.

All’indomani dello scoppio della Grande Guerra, Lina Cavalieri abbandona la carriera di soprano per dedicarsi a quella cinematografica, diventando così la prima cantante lirica protagonista di film muti. Dal 1914 al 1921, gira film in Italia, in Germania, in Inghilterra e, prima fra le europee, in America. «Il lavoro cinematografico mi piaceva moltissimo ma male sopportavo le luci dei proiettori che mi cagionarono gravi forme di congiuntivite».

Chiusa la breve parentesi cinematografica, negli anni Venti del Novecento l’infaticabile Lina apre a Parigi, vicino agli Champs Elysèes, l’Istituto di bellezza Chez Lina, frequentato dalle signore della nobiltà e dell’alta borghesia europea. «Mi dedicai a questa nuova forma d’arte che ritenni anche manifestazione pratica di altruismo». Produce persino cosmetici che recano sulla confezione il suo nome, anche se già nel 1909 aveva aperto un laboratorio di prodotti di bellezza negli Stati Uniti, gestito dal fratello Oreste, in cui venivano realizzati cosmetici secondo i segreti acquisiti da un antico ricettario di Caterina de’Medici. Inoltre, nel 1914, Lina dà alla stampa il libro My secrets of beauty contenente, come recita il sottotitolo, “più di mille preziose ricette di preparazione usate e raccomandate da Madame Cavalieri in persona”.

Negli anni Trenta, anche se non più giovane, Lina è ancora molto affascinante e diventa ambasciatrice del made in Italy facendo la testimonial per prodotti di bellezza come quelli della Palmolive, per l’alta moda sartoriale, per gli apparecchi musicali Columbia e per le bevande Cordial e Bitter Campari.

Alle soglie dei sessant’anni, Lina decide finalmente di riposarsi: abbandona ogni lavoro e affida al figlio Sandro l’amministrazione di tutte le attività. «Mi ritiro dall’arte senza chiasso dopo una carriera forse troppo clamorosa». Torna in Italia, compra una villa in campagna chiamata La Cappuccina, a Castel San Benedetto (vicino Rieti), dove vive col suo impresario-compagno Arnaldo Pavoni e la sua amata cagnetta Pastorella. «A sessant’anni», dice, «si è maturi per vivere in campagna.»

Sospettata di spionaggio, Lina – antifascista, velatamente antitedesca e suddita francese che durante la Grande Guerra aveva sempre mostrato un’aperta simpatia per le forze alleate – il 2 luglio del 1940 viene arrestata insieme alla sorella. Grazie forse al suo celebre passato, l’arresto dura solo qualche giorno, tramutato in domicilio coatto a Rivodutri, dove rimane sotto stretto controllo per un certo periodo, con l’obbligo di non allontanarsi dall’abitato e di presentarsi tre volte al giorno di fronte al podestà o a un funzionario comunale che ne deve prendere nota nel fascicolo personale insieme alla sua regolare firma. Non le è concesso possedere denaro, gioielli e titoli.

Durante l’internamento è probabile che sia stata avvicinata da quelle forze politiche italiane e tedesche per cui Lina ha i requisiti giusti per diventare una loro collaboratrice: parla bene il russo, il francese e l’inglese (le lingue dei nemici dell’Italia e della Germania) e, inoltre, ha numerose conoscenze all’estero fra civili e militari con cariche importanti. Certo è che dopo il domicilio coatto a Rivodutri si trasferisce insieme al compagno Arnaldo Pavoni a Firenze dove prende alloggio presso la villa Torre al Pino. Qui Lina ha modo di riallacciare i rapporti con il figlio Alessandro che vive con la moglie nella città del Giglio e che da piccolo era stato affidato alle cure dei nonni materni e aveva avuto pochi contatti con la madre sempre impegnata in attività che la portavano a viaggiare in tutto il mondo.

Una rara e poco nitida foto di Lina Cavalieri con il figlio Alessandro.

Si racconta che a Parigi una cartomante avesse predetto a Lina che un giorno sarebbe morta di morte violenta. Così è stato: alle ore 11:30 dell’8 febbraio 1944, una bomba, sganciata durante l’incursione di due caccia americani, colpisce la casa di Lina Cavalieri, la quale muore insieme al compagno Arnaldo Pavoni e alla sua casiera Guglielma Raveggi. Pare non abbia raggiunto in tempo i sotterranei esterni di difesa antiaerea per poter recuperare i gioielli nascosti nella sua camera da letto. In molti sospettano che le truppe alleate abbiano voluto punire la cantante in quanto divenuta (forse) collaboratrice di ufficiali tedeschi.

La salma di Lina Cavalieri – estratta intatta dalle macerie – dopo il rito funebre viene trasportata al cimitero delle Porte Sante dove rimane fino al 1947 quando viene tumulata nel cimitero del Verano, a Roma, nella tomba di famiglia.

«Lenta e dura la voce della radio ha introdotto un brivido di orrore nelle tante case borghesi dove Lina Cavalieri era divenuta un mito […] milioni di persone hanno sospirato, riconoscendo nella fine di una leggenda un congedo della propria stessa giovinezza».

Valeria Auricchio

4 Risposte a “Lina Cavalieri. La donna, la diva, la musa”

  1. Attenzione il decesso è avvenuto l’8 febbraio 1944 alle ore 11,30 per l’incursione di due caccia americani, P 51D, al villino in via Suor Maria Celeste, che già avevano effettuato alle 11,26, una strage di 23 bambini del Collegino di Colonnata e del sacerdote che li accompagnava, per la bomba che colpì il muto perimetrale di Villa Gerini, dove si trovava un comando tedesco.

    1. Gentilissimo Paolo, Le sono grata per questo appunto. Ho provveduto a modificare l’ora del decesso. Credo e spero che adesso il mio racconto sia più preciso e corretto… Grazie davvero per i dettagli forniti nel Suo commento, che vanno ad arricchire quanto riportato nell’articolo.
      Un saluto.

  2. Salve. Si conoscono maggiori dettagli della vita privata di Lina Cavalieri per il periodo compreso tra il 1922 e il 1924?

    1. Salve Federico,
      in quegli anni la signora Cavalieri era impegnata nella produzione di cosmetici ed era alle prese con il suo salone di bellezza aperto a Parigi. Sinceramente non conosco i dettagli della sua vita privata di quel periodo… Non credo, comunque, che ce ne siano stati di rilevanti. Però, per fugare ogni dubbio, si potrebbero consultare testi molto validi come la biografia firmata da Franco Di Tizio e l’autobiografia edita da Ledizioni e curata da Fiorenza Taricone.

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