La Scuola di Posillipo: la pittura paesaggistica tra tradizione e innovazione

«La bellezza del clima, i paesaggi stupendi che circondano Napoli, e i molti forestieri che ne chiedono sempre qualche ricordo disegnato e dipinto, avevano fatto sorgere un certo numero di artisti i quali, come per disprezzo, erano dagli accademici chiamati della Scuola di Posillipo, dal luogo dove abitavano per essere più vicini ai forestieri. Essi non facevano che in origine di copiare vedute, ma gli inglesi hanno generalmente molto gusto per questi lavori, li giudicano e li pagano bene. Fu perciò necessario migliorare, e la Scuola di Posillipo fece infatti progresso, e crebbe di numero.»

Così scrisse nel 1867 Pasquale Villari in merito a un gruppo di pittori che nella Napoli della prima metà dell’Ottocento si dedicarono esclusivamente al paesaggio, sotto la guida di Anton Sminck van Pitloo prima e di Giacinto Gigante poi. Non una vera e propria scuola, ma una corrente che attinse dalla tradizione. L’arte paesaggistica, infatti, a Napoli risaliva già alla metà del Seicento con l’opera di Micco Spadaro e di Salvator Rosa, e per tutto il Settecento seguì il gusto del vedutismo turistico. Piccoli paesaggi realizzati a gouache erano destinati al mercato dei viaggiatori del Grand Tour per i quali Napoli e la Campania erano una tappa obbligata, potendo qui ammirare il Vesuvio, gli scavi di Pompei e di Ercolano, le isole del golfo, Sorrento e la costiera amalfitana.

Giacinto Gigante, Scavi di Pompei, 1859, Museo Correale Di Terranova, Sorrento.

La prima produzione della Scuola di Posillipo si rifece, quindi, al paesaggio di tradizione neoclassica: veduta ampia, precisa e scenografica, con punto di vista a volo d’uccello. Dal vedutismo settecentesco, inoltre, gli artisti della Scuola ereditarono l’attitudine a trarre dal vero gli abbozzi disegnativi. Assunsero però presto una posizione antiaccademica, puntando sui valori lirici e sugli umori romantici.

Anton Sminck van Pitloo, Napoli dalla spiaggia di Mergellina, 1829.

La Scuola di Posillipo si sviluppò intorno al 1820, quando l’atelier di Anton Sminck van Pitloo, un vedutista olandese giunto a Napoli nel 1816, divenne luogo di ritrovo e di apprendimento per giovani pittori. La Scuola subì l’influenza di famosi paesaggisti stranieri presenti a Napoli tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo: dall’inglese William Turner, con la sua luce violenta, al francese Camille Corot, rappresentante del nuovo paesaggio della Scuola di Barbizon; dall’austriaco Joseph Rebell, interprete di un paesaggio luminoso, al norvegese Johan Christian Dahl, autore di vedute napoletane di viva espressività, fino al belga Frans Vervloet.

Anton Sminck van Pitloo, Castel dell’Ovo dalla spiaggia, 1820 ca.

Pitloo stravolse lo studio tradizionale del paesaggio introducendo l’osservazione dal vero della natura e la resa impressionistica degli effetti di luce e di colore. Questa ricerca, congiunta al tentativo di conciliare disegno, chiaroscuro e colore, lo accumunò a Camille Corot che, con la Scuola di Barbizon, stava sperimentando per la prima volta la tecnica dell’en plein air. Nel dipinto a olio Castel dell’Ovo dalla spiaggia, l’interpretazione del paesaggio è ancora classicheggiante, ma si nota una prima ricerca di resa atmosferica. Ne La Solfatara, invece, la visione è ormai focalizzata su trasparenze luministiche e lirismo atmosferico, mentre Il ponte di Cava dei Tirreni, uno dei capolavori della maturità, presenta addirittura moderni accenti espressionistici.

Anton Sminck van Pitloo, Il Ponte e la chiesa di San Francesco a Cava de’ Tirreni.

Al decennio 1825-35 appartengono gli artisti della prima generazione della Scuola, come Achille Vianelli, Gabriele Smargiassi, Teodoro Duclère, Vincenzo Franceschini, Beniamino De Francesco e Pasquale Mattej.

Pitloo morì nel 1837, stroncato dal colera. A lui subentrò l’allievo Giacinto Gigante che presto superò il maestro diventando l’interprete più originale nella storia del paesaggio moderno napoletano. Gigante ebbe come punto di riferimento William Turner, dal quale acquisì il modo di usare l’acquerello, come in Porto Salvo, singolare scorcio di una Napoli inedita vista dal mare, o in Paesaggio sorrentino dove la natura viene trasfigurata in stato d’animo. Negli olii Gigante coglie sapientemente la luce, come in La chiesa di Sant’Arcangelo a Cava o in Tempesta sul golfo di Amalfi, dove l’effetto atmosferico è dato da un raggio di sole che attraversa le nuvole e illumina lo specchio di mare prospiciente la riva. La ricerca di Gigante giunse a risultati stilistici molto aggiornati rispetto al panorama artistico europeo, arrivando ad anticipare rappresentazioni di puro colore che diverranno abituali solo dall’Impressionismo in poi, come rivela il suo suggestivo dipinto Tramonto a Caserta.

Giacinto Gigante, Tempesta sul golfo di Amalfi, 1835 ca., Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli.

Agli alunni della Scuola si affiancò un nutrito gruppo di artisti costituito da interi nuclei familiari come i Carelli – il padre Raffaele con i tre figli Consalvo, Gabriele e Achille – e i Fergola, con il capostipite Luigi, i due figli Salvatore e Alessandro, e Francesco, figlio di Salvatore.
L’osservazione della città, per questi pittori, partiva proprio dall’alto di Posillipo, con vedute panoramiche, dalla Tomba di Virgilio a Piedigrotta fino alla Certosa di San Martino al Vomero.

Consalvo Carelli, Golfo di Napoli.

La seconda fase della Scuola fu caratterizzata da una certa ripetitività di schemi. Il paesaggio andava modificandosi e di conseguenza mutava anche la sua percezione. Il romanticismo di Gigante cedette il posto a una visione più “reale”. La vitalità della Scuola di Posillipo si esaurì tra il 1850 e il 1860, quando le nuove tendenze naturalistiche (introdotte a Napoli soprattutto dai fratelli Filippo e Giuseppe Palizzi) resero inattuale la forte e romantica liricità di quei pittori che per primi ebbero il coraggio di guardare alla natura fuori dal buio del loro atelier.

Valeria Auricchio

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