Giovanni Boldini, ritratti di signore

Definito “il pittore dell’eleganza”  dalla patinata rivista Vogue, nessuno meglio di Giovanni Boldini ha saputo interpretare sulla tela la sfavillante Belle Époque, l’alta società cosmopolita e la fastosa moda del tempo.  Ferrarese, vissuto tra il 1842 e il 1931, Boldini viene avviato agli studi artistici dal padre, anch’egli pittore. Stanco della vita di provincia, nel 1862 si traferisce a Firenze, un ambiente più stimolante dal punto di vista sociale e artistico.

Giovanni Boldini, Autoritratto di fronte.

Nel capoluogo toscano frequenta il Caffè Michelangelo dove entra in contatto con il gruppo dei Macchiaioli. Il naturalismo “agreste” espresso dal movimento di Fattori, Signorini e Cabianca, però, inizia presto a stargli stretto, essendo poco affine alla sua fantasia e alle sue visioni cosmopolite. Infatti, dopo una breve sosta a Londra, nel 1871 approda a Parigi dove si avvicina all’ambiente impressionista. Trasferitosi nella Ville Lumière, vi rimane fino alla morte.

Giovanni Boldini, Autoritratto a sessantanove anni, 1911.

Il genere al quale Boldini è maggiormente votato è il ritratto. I due più celebri ritratti del compositore Giuseppe Verdi, per esempio, portano la sua firma. Ma tanti altri personaggi illustri – come Giacomo Puccini, Vittorio Emanuele II, Robert de Montesquiou (per citarne alcuni) – posano per lui. Sono però le donne le protagoniste indiscusse della ritrattistica boldiniana. Alto poco più di un metro e cinquanta ma dotato di un potente carisma, Boldini sa conquistare le più avvenenti signore del bel mondo. Nel suo atelier, infatti, entrano centinaia di donne, protagoniste charmant di un’epoca contrassegnata dalla joie de vivre: dalla baronessa donna Franca Florio alla marchesa Luisa Casati, dall’attrice Eleonora Duse al soprano Lina Cavalieri.

Giovanni Boldini, Ritratto di Lina Cavalieri, 1901.

Giovanni Boldini ama definire le sue muse “divine” non tanto per la bellezza estetica, quanto per il loro allure, per il loro essere raffinatamente sensuali.  Tutte le signore dell’alta borghesia e dell’aristocrazia vogliono essere ritratte da Boldini, al punto che un suo caro amico, il conte Robert de Montesquiou, lo definisce «l’albero tentatore di tutte le Eve».

Giovanni Boldini, La divina in blu, 1905.

Tutte vogliono un ritratto da quell’artista che sa provocarle con battute pungenti, che sa distrarle e farle ridere, diventando così un confidente dei loro segreti più intimi. Ed è per tale motivo che egli riesce a rappresentarne non solo l’aspetto esteriore ma anche quello interiore. Nei suoi ritratti, infatti, è capace di svelare le parti più profonde della loro personalità, riesce a coglierne gli stati d’animo lasciandone intravedere i turbamenti provocati dalle aspirazioni trattenute, dai sentimenti nascosti, dalle pulsioni represse in nome dell’ipocrita morale borghese.

Giovanni Boldini, Ritratto di Mademoiselle de Gillespie, 1912.

Boldini capta il vento femminista che soffia nel nuovo clima sociale della sua epoca: le donne, acquisendo finalmente visibilità e legittimazione, iniziano a esibire con maggiore consapevolezza e orgoglio e senza falsi pudori la propria femminilità. L’artista ferrarese diventa, quindi, il maggiore interprete di un universo femminile desideroso di sottrarsi ai rigidi schemi mentali borghesi, peculiari solo di una visione classista e maschilista del mondo.

Giovanni Boldini, Ritratto di Madame Marthe Regnier, 1905.

Questo desiderio di emancipazione, nei ritratti boldiniani, viene sottolineato dall’abbigliamento delle donne ritratte: confacente al mito della femme fatale, assai diffuso nella Belle Époque, Boldini veste le sue muse con abiti sinuosi e raffinati resi attraverso pennellate veloci (“sciabolate”) e colori vibranti, freschi e sfumati. Sete, rasi, tulle e velluti avvolgono la pelle diafana e splendente, lasciando scoperte braccia, spalle e scollature esibite con maggiore e rinnovata consapevolezza del proprio corpo. Boldini interpreta, dunque, anche la moda del tempo fino ad arrivare a influenzarne le scelte.

Giovanni Boldini, Ritratto di Mademoiselle de Nemidoff, 1908.

Accanto all’introspezione psicologica, Boldini opera anche una sorta di sublimazione estetica: egli sottrae le sue donne alla condizione di ordinaria quotidianità alla quale erano state precluse dalla pittura realista e le trasforma in divinità terrene, rappresentandone al meglio i volti e il fisico, eliminandone i difetti ed esaltandone o valorizzandone i pregi.

Giovanni Boldini, Ritratto di Elizabeth Wharton Drexel, 1905.

Le donne dei quadri di Giovanni Boldini guardano l’osservatore consapevoli della loro capacità di seduzione. A tale proposito, il grande fotografo inglese Cecil Beaton dice: « Boldini sapeva riprodurre la sensazione folgorante che le donne sentivano di suscitare quand’erano viste nei loro momenti migliori ». La donna boldiniana diventa, pertanto, oggetto del desiderio consapevole, attivo e audace; anticipatrice – come osserva la storica dell’arte Maria Luisa Pacelli – di ciò che verrà dopo, ovvero il cinema e la fotografia glamour del Novecento. È l’ultima immagine che ci resta di un’epoca raffinata ed esuberante, destinata a chiudersi per sempre di lì a poco, con lo scoppio della Grande Guerra.

Giovanni Boldini, Ritratto della principessa Radziwill, 1910.

Valeria Auricchio

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